PROJET: 
Essai autour de l'eouvre de Marco Gizzi
DATE: 
Avril 2007
Editeur: ARS Graphica IT
Support: Catalogue de l'exposition "Genio Malinconico"
Marco Gizzi. Genio Malinconico.”
 
Marco Gizzi è un “nomade sedentario”, due concetti antinomici per introdurre un artista dalla personalità eclettica, complessa ed intrigante; estremamente legata alle proprie origini ed al tempo stesso desiderosa di scoprire ed esplorare nuove mete geografiche e culturali.
Approdato all’arte per caso o forse per necessità, Marco Gizzi parte all’inizio degli anni’80 come un argonauta alla ricerca del “vello d’oro” trovandolo nella pittura.
Contesto della propria formazione artistica è la Ciociaria, terra “madre” dalla quale l’artista si allontana sempre a malincuore.
Una vita vissuta all’insegna di autentici valori, di antiche consuetudini mai rinnegate poichè tale universo rurale nutre gran parte dei soggetti tradotti in pittura.
Ricca di diverse sedimentazioni, assimilate e rielaborate nel corso degli anni in una personale sfera espressiva; la pittura dell’artista ceccanese è caratterizzata da due momenti estetici complementari, che costituiscono due fasi distinte del percorso espositivo della mostra in corso dal 24 Marzo al 5 Aprile 2007 presso la Villa Comunale di Frosinone.
 
2. La nostalgia del presente.
 
Marco Gizzi è senza complessi un artista autodidatta. L’arte giunge sottovoce nella sua esistenza, quasi come un atavico bisogno di comunicare con il mondo.
Dal 1990 ragionamento e logica partecipano alla concezione del quadro. Il trascorrer del tempo lento e pacato, ma non per questo meno incisivo, è determinato da un’illuminazione pungente che si esprime sino alla completa rarefazione delle cose. L’artista ci invita ad esplorare un universo quotidiano, reale, possibile.
Gli oggetti rappresentati si rivelano in un’introspezione poetica inattesa e per niente evidente. Guidato da un principio di estrema fedeltà alla natura l’artista delinea una pittura che ha raggiunto la completa padronanza dei propri mezzi espressivi. Eduard Manet dipinse nel 1880 “L’asperge”, realizzando uno dei piu’ bei ritratti del XIX secolo, “un ritratto di magra solitudine”; oggi gli oggetti dipinti da Marco Gizzi dimorano soli e quasi assopiti in una stanchezza ontologica
Tutti i protagonisti avanzano sulla scena e si stagliano teatralmente di fronte ad un sipario nero o ad un fondo decorato di foglia d’oro, che richiama remoti e ormai inaccessibili orizzonti di sapore bizantino. Tutti i personaggi e gli oggetti sembrano respirare, seducono e vivono senza troppe remore nella loro solitudine.
Due zucche capricciose, una malandata brocca in metallo, l’animata conversazione di due melograni, tre impertinenti peperoncini e dei limoni un po’ imbronciati : questi gli oggetti che l’artista ci presenta come nuove maschere della commedia dell’arte. Un cavaliere teutonico o un cavaliere giovannita, questi i protagonisti di una nuova conquista formale.
La rinnovata codificazione di tutti gli elementi del sapere pittorico dell’artista si esprime dunque fra tradizione e innovazione.
Marco Gizzi è un artista ecclettico, che ha la capacità ed il coraggio di esser tanto diseguale e di rinnovarsi.
Mediatore tra presente e futuro l’artista ceccanese si mostra narratore di storie costruite sulla base di un di lento lavoro scientifico.
Le superfici degli oggetti e i volti dei personaggi sono modificati, riassunti e purificati, quasi ridotti alla sostanza ultima, come un atto catartico che è proprio alla pittura.
Esecutore in contemporanea dell’antico e del nuovo, argonauta di epoche ormai troppo lontane, esploratore di recondite materie; il giovane pittore che dal 1980 era alla ricerca dell’illusione di spazi aperti e complicati, da vita ad una pittura “introspettiva” costituita di pause, di interni silenziosi e abitata da pochi oggetti.
Il nuovo contesto: un “interno giorno”, quello dello studio-atelier, dove l’artista trascorre gran parte del tempo, e dal quale riscopre epoche ormai obsolete.
La pittura diviene locuzione poetica, il colore la pausa musicale di una composizione ostinatamente realista.
E’ “umano, troppo umano”, questo nuovo capitolo formale di Marco Gizzi. Tutto è palpabile e al tempo stesso abitato da un’energia dirompente.
L’artista traduce in pittura il presente, un presente che sucita in noi prematuratamente già la nostalgia. La vita è irripetibile e il presente diviene paradossalmente nostalgico.
Ogni nostro istante, ogni nostra azione, ogni nostro gesto, tutto ciò che ci è dato da vivere avviene una sola volta, non avverrà mai più, e tale sentimento è tradotto in pittura.
Una pittura che conquista la sensibilità dello spettatore e rivela suggestioni inedite, nuove, inattese. L’estrema finitudine di ogni dettaglio congela le figure e gli oggetti in una dimensione dell'irreversibile e dell'irrevocabile. L’artista ci ha reso la natura e la storia, inverandole nella pittura.
La materia è presenza assoluta e memoria dell'esistenza. Una sublime malinconia usurpa il precedente spazio “psicologico” trasformandolo in un nostalgico anelito.
Gli oggetti dipinti sembrano assopiti, “Due mele antiche”, sono le illustri tracce di una memoria popolare e contadina.
Illuminate da un chiarore accondiscendente, le due mele inverminite sono anch’esse il simbolo di un monito alla riflessione sulla brevità della vita, e ostentano senza vergogna le tracce di un tempo che trascorre inesorabile. Nella pittura dell’artista la luce è protagonista assoluta. Lo spettatore penetra “nell'attimo luminoso”, in quell'istante di luce che invera le cose. Siamo in quell'idea di attimo fuggente, chiave di tutta la raffigurazione del Ventesimo Secolo e principio estetico comune al cinema dei nostri tempi.
Una pittura che è tradotta in colori, guizzi e spasimi. Gli oggetti mostrano una naturale evidenza come nella natura morta “Due nespole” che intercedono verso lo sguardo dello spettatore in modo speculare quasi a testimonianza di una povertà culinaria divenuta ormai obsoleta. La pittura di Marco Gizzi è come un attimo, un momento di riflessione abitato dal silenzio: una porta aperta alla nostalgia. Il quadro è un frangente di luce, che proiettato sugli oggetti li accarezza, ne sfiora la superficie rendendoli fragili, quasi umani.
Un poema concatenato di luce e colori, un istante di luce che in base ai precetti di Johann Wolfgang Goethe 2 non è mai statico ma muta di continuo e attraverso la luce trova la sua essenza.
 
7.Lo “spleen” romantico come estetizzazione del quotidiano.
 
Marco Gizzi ci apre gli occhi sul discreto fascino del quotidiano.
Studioso attento, curioso sperimentatore, l’artista si esprime con un metodo concepito sulla costante osservazione della natura e sulla lettura di antichi testi, ed esibisce con lucidità le conquiste spaziali acquisite nel corso degli anni, associando alle modalità fiamminghe un’impaginazione moderna.
Vicino all’intimità espressa nelle opere di Jan Vermeer e Pieter de Hooch il silenzio lascia affiorare una compenetrazione fisica e spirituale.
All’interno dell’imponente composizione dalle dimensioni di un quadro d’altare “Tre zucche”capricciose e impertinenti si riconcorrono in bilico su una gradinata marmorea.
Le tre zucche di diverso colore e grandezza, s’impongono di fronte ad un nero sipario come nuove maschere della commedia dell’arte.
Gli oggetti sono disegnati, quasi intagliati sulla tela e si stagliano definitivamente sul fondo come sinopie.
Quasi a volerne trascrivere la complessità di ogni singola personalità, l’artista è alla ricerca di un’empatia pittorica delle cose che ce le rende prossime, quasi tangibili.
L’artista ci permette di penetrare nell’intimità delle cose, sino a poterne osservare le viscere piu’ profonde e percepire la loro presenza.
Cosi come quando nella natura morta tre protagonisti:“Tre fichi” posti al centro di una scena minimale si adagiano taciti e dignitosi in diverse posizioni.
Altezzosi e quasi a volere esprimere atteggiamenti umani, i tre frutti formano una proiezione prospettica della loro presenza materiale e al tempo stesso della propria fragilità.
L’oggetto, che l’inevitabile disattenzione del quotidiano ce lo rende singolare, è riconsegnato allo spettatore attraverso la pittura ed è messo a fuoco dall’artista secondo criteri di lucidità non più retinica, ma interiore, un’intensità emotiva che la nostra visione puo’ semplicemente suggerire. La pitturascrivevaLeonardo, “è una poesia che si vede e prende forma”. L’artista ceccanese sembra far tesoro di tale affermazione poichè all’interno di questi semplici e umili “sonetti rurali” dimora il fascino poetico e discreto dello “spleen” quotidiano. Gli oggetti rappresentati sembrano dotati di una “apatia filosofica” risultato della consapevolezza della provvidenzialità e razionalità di ogni evento.
Platealmente esposti, o semplicemente adagiati gli oggetti disegnati dall’artista vengono percepiti dallo spettatore con uno sguardo inedito.
Una natura dotata di “atarassia” popola le composizioni e le nature morte di Marco Gizzi, quasi cosciente di una condizione esistenziale, e caratterizzata da un’assoluta imperturbabilità.
 
 
8. Cavalieri, o semplicemente uomini.
 
Nelle recenti ricerche pittoriche di Marco Gizzi, la figura umana è sempre più presente. Gran parte dei soggetti dei quadri piu’ recenti, sono presentati con un’inedita intonazione poetica ed epica. Dal 2004 sino ad oggi, Marco Gizzi è intensamente immerso in una impresa pittorica, quasi epica, che delinea una profonda volontà di rinnovamento formale.
Negli ultimi tre anni Marco Gizzi ha dipinto tre monumentali Cavalieri che rapprentano l’ultima tappa del percorso esposivo, e l’inizio di un nuovo capitolo formale.
Immersosi nella lettura delle storie dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni Battista di Gerusalemme, l’artista è stato sedotto dalle gesta degli eroici testimoni dei tre valori cristiani: della “Fides, Spes, Caritas”. I tre monumentali Cavalieri: Ospitaliere, Templare e Teutonico sono dunque rispettivamente i simboli delle Tre Virtù Teologali : della Fede, della Speranza e della Carità. I corpi dei Cavalieri si trovano posti all’interno di un’edicola, il cui termine deriva dal latino aedicula, diminutivo di aedes "tempio".
Tale forma architettonica assume nel caso dei Tre Cavalieri dipinti dall’artista una funzione estetica di inquadramento e di evidenziazione dei protagonisti rappresentati al suo interno.
Cavaliere Teutonico”, olio su tavola, 2006. Al centro di una edicola il terzo Cavaliere Teutonico, emerge dal fondo decorato avanzando e brandendo energicamente una scure.
L’inquietante sguardo nascosto dietro un elmo pesante è incentrato sulla nostra presenza. Il piede destro sul bordo della superficie di marmo permette al personaggio rappresentato di emergere dalla dimensione pittorica quasi introducendosi nella sfera reale. Un passo separa lo spettatore dal Cavaliere, che appare al centro della composizione intrepido e fiero.
I tre Cavalieri dipinti dall’artista ci fanno assaporare in un clima epico ed eroico una pittura che si traduce in “art de creuser une surface” cosi la definiva Georges Seurat.
In tutta la storia dell’arte notiamo che la ricerca formale di un artista si compone spesso di due periodi apparentemente antitetici.
L’esposizione “Marco Gizzi. Genio Malinconico” rivela due momenti fondamentali di un unico percorso pittorico, i cui simboli dell’apparato iconografico ritornano negli anni mutando il loro contesto, e attraverso i quali l’artista, demiurgo dello spazio pittorico tenta d’immortalare un tempo che trascorre inesorabile.
 
Margherita Balzerani,
curatore dell’esposizione “Marco Gizzi. Genio malinconico”.
 
1 Nel Rinascimento il temperamento malinconico, ritenuto una qualità del genio creativo, era considerato una caratteristica comune ad intellettuali ed artisti.
2 Johann Wolfgang von Goethe “Teoria dei colori” (1808) a cura di R. Troncon, Edizioni Il Saggiatore, Milano 1981.